“Se vai a Palermo, lascia stare le banane”, ammoniva Benigni nel mitico Johnny Stecchino, dispensando altri leggendari ammonimenti su chi desiderasse visitare quest'isola: il problema del traffico, quello del diabete... effettivamente non si faceva menzione del problema della scuola.
Dev'essere stato per questo che la pittrice finlandese che recentemente è salita alla ribalta dei social per la sua decisione di lasciare la Sicilia dopo soli due mesi dal trasferimento, proprio a causa delle disastrose condizioni scolastiche trovate, si è trovata così impreparata alla cosa. La vicenda, per chi non la conoscesse è presto detta: innamorata (e come non esserlo?) della splendida terra siciliana, una pittrice finlandese decide insieme al marito di lasciare il proprio paese e trasferirsi a Siracusa con i figli. Il sogno si infrange però dopo soli due mesi principalmente a causa dell'impatto disastroso della famiglia con il sistema scolastico italiano, facendo decidere la famiglia di fare armi e bagagli e tornarsene da dove sono venuti.
Francamente la notizia può stupire soltanto chi ignora le condizioni in cui versa la scuola italiana da decenni, incastrata in modelli vecchi, superati, che devono certamente sembrare assurdi a chi invece, come la famiglia in questione, arriva da realtà in cui da oltre 50 anni si è scelto di investire in un tipo di scuola diversa.
Una scuola in cui i bambini iniziano più tardi di quanto non avvenga da noi: il modello scolastico finlandese, sulla scia di ciò che avviene anche negli altri paesi scandinavi, prevede l'ingresso nella scuola a 7 anni, offrendo quindi al bambino un anno (e addirittura due per chi sceglie di mandare il figlio in anticipo a scuola) in più per completare il proprio percorso di sviluppo psicomotorio.
Tempo sprecato? Tutt'altro: grazie a questo tempo in più si permette ai bambini di completare la propria evoluzione psicomotoria, consolidare le sue modalità di interazione con il mondo, affinare le sue capacità motorie e di pensiero.
Una scuola che non concepisce la lezione solo come un momento di apprendimento frontale e individuale, ma che ha nel confronto esperienziale, nel lavoro di gruppo e nell'apprendimento al di fuori dall'aula un momento fondamentale. Il modello scolastico finlandese prevede che la scuola sia uno spazio totale per i bambini e i ragazzi: uno spazio in cui l'impatto con l'aula, con la lezione frontale è posticipato moltissimo rispetto al nostro approccio (in cui spesso i bambini vengono messi al banco già dai 3, 4 anni), per privilegiare l'apprendimento attraverso il gioco, la manipolazione, l'esperienza diretta, il lavoro collaborativo.
Tutto questo è reso possibile anche grazie ad un serio investimento sugli insegnanti, a cui vengono riconosciuti stipendi nettamente più alti, giustificati dalla richiesta responsabilità che viene fatta loro, sostenendone la creatività, spingendo a trovare stili di insegnamento personali, alternativi, calibrati sulle necessità della classe e degli alunni.
La scuola al contempo non è solo lo spazio della lezione, ma quel contesto in cui è possibile fare sport, teatro, musica, corsi di approfondimento perché la formazione passi attraverso un ventaglio di esperienze interconnesse. Una realtà lontana anni luce da quello che viviamo da noi, dove spesso le scuole non hanno nemmeno una vera e propria palestra, per non parlare di laboratori o altre infrastrutture utili a fare adeguatamente una lezione di educazione fisica, quell'attività che, d'altro canto, viene spesso considerata poco più di una specie di propaggine dell'intervallo, invece che un momento essenziale per insegnare allo studente a muovere il proprio corpo nello spazio, dialogare con lo spazio, gli oggetti e i soggetti attorno a lui.
Una scuola che non affida la soluzione del problema dell'apprendimento alla moltiplicazione delle diagnosi, delle sigle specialistiche e delle patologizzazioni, chiedendo allo psicologo scolastico, (figura prometeica, che già Mara Selvini ribattezzava “il mago smagato”) di dare la soluzione che aggiusti il bambino rotto o il via libera all'iter neuropsicodiagnostico o socio-assistenziale, ma che investe sulla individualità di ciascun percorso di apprendimento individuale.
I risultati di queste scelte sono decisamente significativi: secondo dei dati del 2018, la Finlandia si colloca al secondo posto in Europa per le competenze e conoscenze acquisite dagli studenti per vivere nella società moderna, e al decimo posto al mondo, l'Italia è al trentaquattresimo; in Finlandia il 17% degli insegnanti ha meno di 30 anni (in Italia siamo al 1% con il 58% over 50).
Questi dati impongono una riflessione e un interrogativo: se la scuola è il terreno in cui coltivi i cittadini di domani, quali cittadini stiamo preparando?
Perché alle ultime elezioni nei programmi elettorali la parola scuola compariva in relazione alla devianza sociali (la Meloni e l'idea dello sport nella scuola come antidoto alla violenza giovanile) o allo ius scholae del centro sinistra?
Certo, parlare di scuola significa parlare non solo di modelli ma anche di investimenti, di infrastrutture, di una realtà che non si trasforma dalla sera alla mattina, ma significa parlare anche del futuro che desideriamo per il nostro Paese.
Ok, se andiamo a Palermo non guardiamo le banane, ma alle scuole un occhio vorremmo buttarlo.