Tutela della salute e conflitto di interesse: quale il confine?
L’enorme progresso della ricerca in campo farmacologico e diagnostico, soprattutto dal secondo dopoguerra, ha permesso il grande sviluppo industriale del settore. Ciò, pur portando indubbi vantaggi in termini di salute, ha aperto nuove problematiche in ambito etico, correlate alla trasformazione del “bene salute” in possibile “bene di consumo”, quando l’aspetto economico diventa preponderante. Le priorità relative alla tutela della salute in rapporto agli interessi economici dovrebbero essere ben identificate e studiate per portare ad una regolamentazione rigorosa, che garantisca un equilibrio, in cui la salute non sia sottoposta a manipolazioni che la relegano in secondo piano.
L’avvento dei social e dei motori di ricerca ha creato le condizioni per inondare di messaggi mirati alla singola persona che, dopo aver fatto una ricerca sul web inerente ad una particolare malattia o
argomento medico, riceverà informazioni/suggestioni relative ad argomenti analoghi e “consigli” di intervento.
Il diseases “mongering”, termine usato per la prima volta dalla fisiologa-giornalista Lynn Payer nel 1992, significa letteralmente “spaccio” di malattie, per indicare che la malattia viene spacciata o fabbricata, come presupposto per indurre comportamenti consumistici al pari di altri settori merceologici. Infatti per ampliare i volumi di vendita si deve ampliare la platea dei fruitori/consumatori. Ormai è ampiamente dimostrato che la patologizzazione di fenomeni naturali, sia psicologici che organici è la premessa per giungere ad attribuire al mercato il primato degli interessi in gioco. Tra i settori più trainanti c’è proprio quello degli psicofarmaci e antidolorifici, tanto da aver dato vita ad un movimento di operatori del settore per la de prescrizione dei farmaci psichiatrici (IIPDW).
Nel 1976, il presidente di un grande gruppo farmaceutico dichiarò, in una intervista sulla rivista Fortune, che l’obiettivo futuro sarebbe stato quello di “produrre farmaci per persone sane perché questo ci permetterebbe di vendere a chiunque”. Potrebbe non essere stata un’affermazione censurabile se quei sani a cui vendere farmaci si fossero mantenuti esenti da malattie per molto tempo! Ma è andata esattamente così? Non sembra affatto accaduto.
Si è scritto molto sull’argomento, sia dal punto di vista di chi auspica una seria regolamentazione delle problematiche inerenti al settore, sia da chi ha fatto analisi di mercato con lo scopo di aumentare i volumi di vendite di farmaci e dispositivi.
Un articolo del 2016 dal titolo “ Pharmaceutical industry: Need for transparency by conflict of interest declaration and indipendent etichal oversight” (1) poneva il grosso problema del conflitto d’interesse in ambito medico e quali le possibili contromisure volte a risolvere il nocciolo del problema: l’ equilibrio tra le opposte esigenze di tutela della salute pubblica e degli interessi economici privati.
Uno studio pubblicato su Jama nel 2002 ha calcolato che l’87% di coloro che redigono linee guida cliniche ha conflitti d’interesse a causa di legami con l’industria farmaceutica (2)
D’altra parte, l’analisi di come favorire lo sviluppo di mercati è stato anch’esso oggetto di studi, come quello comparso su Lancet nel 2002 dove vengono evidenziati i tre punti attraverso i quali giungere non solo a fornire il farmaco ma a tutto quanto necessario per la sua promozione. (3)
Un’altra ricerca, rivolta a plasmare eventuali scenari futuri, ha preso in considerazione come gli aspetti del problema fin qui trattati vengono affrontati durante i corsi di studio universitari. Ovvero come sensibilizzare i futuri professionisti della salute riguardo i possibili conflitti d’interesse che li potrebbero riguardare. Un documento redatto nel 2009, dal Centro Studi Ricerche in Salute (CSI) dell’Università di Bologna, rivolto agli studenti di medicina, ha preso in esame il problema. Esso conclude dicendo: “E’ necessario individuare strategie per generare contributi dal basso verso l’alto (bottom-up), non solo dall’alto verso il basso (top-down), soprattutto coinvolgendo i professionisti sanitari in un percorso formativo che metta al primo posto il decoro e la dignità professionale che rappresentano gli antidoti naturali contro il conflitto d’interessi” (4)
Arrivando alla conclusione, abbiamo più domande che risposte. I tentativi di risolvere la questione degli opposti interessi in gioco, hanno trovato soluzioni efficaci e applicabili? Il tentativo di applicare codici di comportamento e linee di condotta ispirati a principi etici si è dimostrato efficace nel limitare i conflitti d’interesse che inevitabilmente il settore genera? Quanto la divulgazione in medicina si pone come “neutro” strumento informativo e quanto invece si adopera come soggetto di propaganda promozionale?
La direzione presa non sembra rispondere affermativamente alle domande poste. La presa di coscienza delle problematiche relative all’intreccio tra divulgazione medica, comportamenti indotti e mercato della salute non sembra essere così presente all’interno delle professioni sanitarie. Certamente la soluzione non può arrivare esclusivamente dal mondo dei tecnici, ma una nuova consapevolezza del problema da parte di essi potrebbe favorire nuovi e più favorevoli equilibri tra le parti in gioco a beneficio prioritario della salute del singolo e della comunità. Dovrebbe essere inoltre preciso interesse di chi avrebbe la responsabilità istituzionale di difendere il bene salute da eccessive e distorsive intromissioni.
1) Keller et all. Interchopen ( editori di libri ad accesso aperto al mondo) doi 105772/65104
2)Choudry et all. Relationship between authors of clinical practice guidelines and the pharmaceutical industry JAMA 2002 287:612-617
3) Collier et all. The pharmaceutical industry as an informant Lancet 2002 360: 1405-9
4) Fabbri et all. Conflitto d’interessi tra medici e industria farmaceutica ( CSI) Quadern act 2009.