Lettera al portale di Mad in Italy, preso di mira da chi ha paura della storia reale della psichiatria in Italia e ovunque. Il cartello della foto si trova nel parco 3 castagni dell'ex manicomio di Pergine Valsugana. Per non dimenticare il dolore di nessuno e "permettere alla scienza di fare passi avanti"
In questi giorni la cronaca è invasa dalla notizia della tragica morte della dottoressa Barbara Capovani, giusto il tempo di alimentare un polverone mediatico che, dopo qualche giorno si depositerà e lascerà di nuovo cadere il silenzio su un problema personale, sociale e di politica sanitaria che riguarda tutta la comunità umana.
Sono psicologa psicoterapeuta che lavora nell’ambito della salute mentale dal 1976 e che ha vissuto in prima persona, fin dai tempi della formazione universitaria, la storia della psichiatria italiana e internazionale. Non possiamo nasconderci dietro ad un dito e nemmeno ad un omicidio: la comunità scientifica che si occupa di salute mentale è ben lungi dall’aver risolto il problema della comprensione e della gestione della sofferenza psichica. L’Italia ha potuto contare su personaggi che hanno dedicato la vita allo studio scientifico della complessità di questo problema; personaggi che ci sono stati invidiati anche a livello internazionale. Eppure oggi sembra riaffiorare la tentazione di trincerarsi nelle retrovie del puro controllo e della rapida categorizzazione, che lascia soli e disarmati tanto i pazienti quanto gli operatori.
Dal momento che collaboro anche con Mad in Italy mi sento chiamata in causa, non solo per le illazioni circolanti, ma perché non posso accettare la banalizzazione di un problema in cui nessuno può sentirsi assolto perché è comunque coinvolto. (Fabrizio De André, La canzone del maggio).
Non ho sufficienti elementi per entrare seriamente nel merito della storia clinica tra la Dr. Capovani e il Sig. G.P. Seung, ma penso di potere esprimere un parere circa il fenomeno della violenza, anche così grave, di cui è fatto oggetto il personale sanitario e la condizione di degrado istituzionale in cui versa in generale il rapporto di fiducia con i pazienti. Non si può sottovalutare in proposito il ruolo che i mezzi di comunicazione svolgono nel facilitare o aggravare tale rapporto che è fondamentale per l’efficacia degli interventi sanitari messi in atto e per ridurre sia nei pazienti che nel personale un senso di distruttiva frustrazione.
In quanto studiosa di psicologia della comunicazione e delle sue patologie devo ricordare brevemente al giornalista Davide Puente che, dopo che si sono scatenate pesanti illazioni sul gruppo Facebook Mat in Italy, collegato al portale Mad in Italy, non ci si può giustificare dicendo che non è stata mossa nessuna accusa specifica ai “moderatori” e che egli si è limitato a far circolare alcuni post. Da giornalista avrà certamente studiato Marshall McLuhan che, già nel 1964 coniando il termine “villaggio globale”, aveva allertato sul fenomeno per cui il mezzo di comunicazione usato altera il messaggio che si intende dare. E parliamo delle tecnologie di 60 anni fa! È necessario rammentare un altro fondamentale studioso della comunicazione umana, che andrebbe ripassato anche da molti altri professionisti dell’informazione. Mi riferisco a Gregory Bateson, esponente di punta della famosa Scuola di Palo Alto negli anni ’70, che si è occupato dei processi di polarizzazione della comunicazione sia nelle relazioni internazionali (allora si era in piena guerra fredda e psicosi da guerra nucleare, ora siamo allo stesso punto con circa 37 guerre calde in corso), sia della genesi dei processi psicopatologici con particolare riferimento alla schizofrenia. Quando un processo di polarizzazione simmetrica viene avviato è quasi impossibile interromperlo ed esita in comportamenti distruttivi fino alla morte. Egli coniò il termine schismogenesi per indicare l’avvio di un processo che genera una spaccatura così profonda tra i comunicanti, per cui il contenuto di cui si discute non ha più significato, conta solo la reciproca sopraffazione. L’unica via possibile è riconoscerne tempestivamente l’innesco e interromperla “abbandonando il campo” temporaneamente.
Ora sono almeno tre anni che “il villaggio globale” è sottoposto quotidianamente a processi di polarizzazione simmetrica patologica, qualunque sia l’argomento di cui ci si occupa: la morte tragica di un sanitario (la dr. Capovani non è purtroppo la prima), la guerra russo/ucraina, la documentazione sui sieri anticovid e la gestione della pandemia, i cibi sintetici, gli orsi “problematici”, perfino la ricorrenza del 25 aprile! E molto altro.
Gli spin doctors sanno che l’uso di questo strumento è utilissimo quando si voglia evitare il contenuto reale e spinoso di un problema e contemporaneamente intaccare la reputazione di qualcuno. Dunque tornando al tema di una comunicazione sana ed efficacie la domanda è legittima: saranno i giornalisti che si sono dimenticati delle regole del loro mestiere? O sono stati infettati a loro insaputa dalle regole vigenti al momento, così come il famoso e ancora valido esperimento di Solomon Asch dimostra?
(https://orax.me/blog/forum_art_det.asp?id=82&estrai=tutto )
Pensare di affrontare problemi così complessi facendo circolare le poche righe di un post è veramente il segno della civiltà volatile e superficiale che stiamo costruendo e di cui vedo ogni giorno traccia nel mio lavoro clinico con bambini e adolescenti: i futuri Cittadini. Preoccuparsi di questo sarebbe vera prevenzione.
Mi auguro che l’ennesimo evento drammatico, che mi ha spinto a scrivere queste righe, sia occasione di riflessione seria per chi desideri veramente preoccuparsi e occuparsi sia di salute mentale sia di scuola. Scuola divenuta ormai un reparto dislocato di neuropsichiatria infantile (vedi la quantità di soggetti diagnosticati con Bisogni Educativi Speciali-BES) o un allevamento di soggetti che sono spinti a non distinguere più tra mondo reale e realtà virtuale. (vedi piano scuola 4.0) Con un termine tecnico questo si chiamerebbe “delirare”. Buona riflessione a tutti.
Miriam Gandolfi, psicologa psicoterapeuta sistemico-connessionista.