Quale il tipo di essere umano che si vuole per il futuro? Ormai possiamo costruire i bambini in provetta (a seconda di come ci piacciono), decidere di far cambiare identità sessuale (a seconda di come serve), possiamo cambiare tutti i pezzi del suo corpo, incluso sostituire il cervello con l’intelligenza artificiale. Basterà giocare al piccolo “bio-ingegnere” con i geni. “Così ci salveremo in futuro” ecco il messaggio del Festival della salute 2023.
Il Gruppo editoriale GEDI ha organizzato, dal 12 al 14 ottobre, la quarta edizione romana del festival della salute presso l’Ara Pacis. La precisazione geografica è d’obbligo perché quasi ogni Regione d’Italia si attribuisce il merito di aver iniziato la tradizione di tale Festival già da parecchi anni. Del resto ormai siamo abituati ad ogni genere di Festival: da quello della scienza a quello della castagna, da quello della filosofia e dell’economia passando per quello del formaggio di latte crudo. L’intento è lodevole, ma…
Da psicologa clinica, che si occupa di comunicazione e delle sue patologie, propongo una lettura laica di questo evento, sostenuta da competenze che sono alla base della psicologia della comunicazione pubblicitaria. Lo ritengo di interesse comune, perché questo evento, a cui è stata data grande risonanza, invitando ospiti di spicco e politici, è destinato tanto ad influenzare e legittimare le scelte di politica della salute quanto ad orientare la percezione dei cittadini che di esse dovranno avvalersi.
https://www.salute.eu/dossier/festival-salute-2023/
Antefatto: a fine settembre Biagio Oppi, direttore della comunicazione di Pfizer Italia, in una intervista ha illustrato il progetto già definito, ma ignoto ai diretti interessati, di entrare in scuole superiori ed università, non solo per fare debunking, quindi smentire le notizie false, ma “agire alla radice per portare strumenti per una migliore alfabetizzazione medico-scientifica di studenti e professori. Ovviamente essi si terranno anche nei corsi di giornalismo e nelle facoltà di Scienze della comunicazione”. I contenuti del progetto, sostenuto dalla Fondazione Golinelli e dalla Fondazione Media Literacy sarebbero stati ufficializzati al Festival digitale popolare di Torino del 7 ottobre. Non mi dilungo sulle numerose proteste suscitate e circolate sui vari social. Resta che ad oggi tale progetto è di fatto ancora ignoto negli aspetti organizzativi in perfetto stile “Pfizer Casa Madre”.
E qui si innesta l’altro Festival, quello della salute appunto organizzato da GEDI. Daniela Minerva, giornalista di lungo corso che da sempre si occupa di salute e vicedirettrice del Master in Comunicazione della Scienza della SISSA di Trieste, lo presenta così: “Viviamo in un Paese che non crede nella ricerca scientifica, non la finanzia, non crea organizzazioni e strutture idonee a produrre nuova medicina, nuovi salvavita. Un paese che così resta indietro, e questo ci spezza il cuore. Ecco perché abbiamo voluto fare un Festival dal titolo "Nessuno resti indietro”. Per parlare di diritti a essere curati, di avere gli strumenti, dal cibo allo sport alla diagnosi precoce, per prevenire le malattie dell'invecchiamento. Di poter essere sé stessi senza stigma né tabù". Come non essere d’accordo?
Già, ma come si fa una cosa cambia la cosa che si fa. Anche questo Festival, come tutti i festival, è stata una vetrina di prodotti da reclamizzare grazie a giornalisti e intrattenitori formati alle tecniche di conduzione dell’ospite a dire ciò che è più utile per far risaltare le caratteristiche del prodotto, benché immateriale, che interessa reclamizzare e a condurre l’ascoltatore/lettore/spettatore a percepire ciò che è interesse del committente far percepire/vendere.
E come si fa comunicazione, cambia la cosa che si fa. Questo ci ha insegnato da tempo la psicologia: che tutti gli esseri viventi e umani, in particolare, sono anche l’esito dei loro processi di comunicazione e agendo su tali processi si possono orientare le loro percezioni e modificare fino a controllarli i loro comportamenti.
La prima cosa che non può passare inosservata a chi voglia analizzare le tecniche comunicative scelte per veicolare i messaggi è la coreografia. Poltroncine bianche che si stagliano su uno sfondo nero con alle spalle un maxi schermo per proiettare video, interventi in differita di ospiti speciali, ecc. A destra e a sinistra di esso ve ne sono altri due, sormontati da una striscia fuxia fluo. Su quello alla sinistra dello spettatore campeggia su due righe la scritta luminosa GEDI – SALUTE. Le righe si alternano (sopra-sotto) lanciando uno stimolo luminoso in continuo lento movimento che si armonizza con gli stimoli luminosi ben più numerosi dello schermo di destra dove si alternano i loghi degli sponsor. Lo stimolo luminoso in movimento cadenzato ha lo scopo di superare l’appiattimento fisiologico dell’attenzione, prodotto da uno stimolo statico e favorirne così la memorizzazione anche inconsapevole. La scelta di stimolare l’emicampo visivo destro con i nominativi degli sponsor risponde allo scopo di aumentare la memorizzazione delle scritte che vi si alternano. È interessante notare come tra i nomi compaiono, alternandosi, oltre a Istituzioni di prestigio come l’Università La Sapienza e l’Istituto per la ricerca sul cancro, che sono però alla perenne ricerca di fondi, i loghi dei benefattori come Pfizer, AstraZeneca, Roche, Lilly, BOIRON, ecc. e altri che producono supporti tecnologici per l’attività clinica.
La presenza di Pfizer tra i finanziatori potrebbe apparire non rilevante, una delle presenze nell’elenco, se già il primo giorno, 12 ottobre, non trovassimo tra gli interventi dei big quello di Giorgio Parisi, che accanto a questioni di carattere generale del tutto condivisibili, si lancia in una proposta che fa torto ad un Nobel per la fisica, ovvero “un’ora a settimana di educazione sanitaria perché non è accettabile che gli studenti non sappiano la differenza tra virus e microbi”. È evidente che il professore non conosce i programmi scolastici, perché questo è già previsto nei programmi di materie scientifiche a partire almeno dalle medie di primo grado. Dunque la tirata e la confusione tra “educazione” sanitaria e formazione al pensiero scientifico degli studenti non può che richiamare alla memoria il progetto fantasma di Pfizer. Nulla si dice invece dell’allarme lanciato dal fisico e matematico (docente alla Sapienza) Lucio Russo, studioso di storia della scienza, che da anni lamenta la perdita della capacità di ragionamento logico-deduttivo degli studenti universitari, frutto delle numerose riforme scolastiche disastrose. E men che meno del fatto che a partire dalla scuola primaria si assiste ad un’epidemia di Disturbi Specifici dell’Apprendimento, in particolare di discalculia (dati ministeriali +408,4 % dal 2010 al 2021), che significa incapacità di leggere e comprendere un testo e/o eseguire un calcolo basico. La neuropsicologia mainstream insiste che si tratti dell’effetto di un disturbo organico, su base genetica, solo ipotizzato al momento. Tuttavia non riesce a porre un freno al dilagare di queste diagnosi che ormai riguardano anche gli universitari. La domanda sorge dunque spontanea: come avverrebbe l’educazione sanitaria? Tramite la ripetizione di mantra stile corsi per agenti di commercio, o preparazione del pre-partita per sportivi da convincere a obbedire al loro allenatore?
Tutto l’evento si è svolto all’insegna della promozione della scienza, del progresso scientifico, dell’importanza della ricerca scientifica, della fiducia nella scienza. Ecco spiegata la presenza di tre Nobel per la fisica. Di frasi come “La ricerca scientifica è l’unica garanzia di salvezza”, “La scienza è la salvezza, così ci salveremo in futuro”. Ma il discorso si è fatto subito scivoloso quando si è toccato il tasto della libertà concessa agli scienziati di fare ricerca, per quali scopi, con quali finanziamenti e del peso della loro responsabilità personale. Tema sfuggito e rapidamente tamponato nell’intervista di Maurizio Molinari, direttore di Repubblica, a Serge Haroche (Nobel per la fisica nel 2012). C’è poco da fare le/gli scienziate/i sono persone con tutti i pregi, i difetti, le debolezze degli esseri umani. Dunque “la scienza” non può essere usata come scudo per eludere il problema etico e delle scelte esistenziali definite anche dalla personalità del singolo scienziato. In questa intervista c’è stata un’altra svista non banale. Molinari ha posto le domande in inglese ad Haroche, che veniva tradotto in simultanea. Il fisico ha più volte sottolineato la differenza tra scienza teorica (tradotto letteralmente ma impropriamente con “di base”) e applicata. Precisando che mentre la scienza teorica ha come meta la curiosità per la conoscenza e non sa dove e quando porterà frutti e necessita di ingenti finanziamenti, quella applicata deve considerare tutte le implicazioni utili, dannose, ignote che giustamente vanno messe in conto e controllate, ma deve anche far rientrare i costi. Connessione tra competenza lessicale e competenza sul contenuto che si deve tradurre è la croce dei traduttori, perché le parole portano seduzioni e slittamenti semantici potenti. Umberto Eco docet!
Haroche ha portato un esempio di come la politica possa inibire lo sviluppo scientifico, citando la Cina. Ovviamente se a farlo è la Cina si può dire!
Tra i partecipanti illustri che lasciano sperare che ci sia chi si muove in equilibrio tra rigore scientifico, umanità, presa di distanza dalla tentazione di onnipotenza e fiducia cieca in una scienza prometeica, ho molto apprezzato l’intervento del professor Gianvito Martino, neurologo, Direttore scientifico del San Raffaele di Milano. Ma proprio il suo intervento, collocato nel gran mucchio di stimoli delle tre giornate dove si sono alternati argomenti di scienza, musica, esperti di molte branche della medicina, intrattenimento, psicologia, ecc., tutti senza dibattito, nascondeva a mio avviso un altro messaggio attraverso cui incanalare la percezione dell’uditorio: l’illusione che la neurologia coincida con lo studio del comportamento umano e che l’uomo coincida con il suo patrimonio genetico e in particolare con il suo cervello. Da qui la seduzione lanciata da Gabriele Beccaria (giornalista scientifico per La Stampa e coordinatore dell’Hub Salute del Gruppo GEDI) che l’uomo sia pronto a costruire cervelli artificiali in grado di riparare e sostituire ogni porzione della macchina cervello, così come oggi si sostituisce un arto, un cuore, fegato, ecc. La seduzione è che l’IA possa risolvere tutti i nostri problemi, anche quelli comportamentali. Il professor Martino ha precisato che al momento ciò è possibile solo per le malattie monogenetiche come la leuco distrofia metacromatica, dove sostituendo il gene responsabile è possibile curare il bambino portatore. Ma ha anche precisato che questo non vale per il cervello, che si rivela ancora ampiamento sconosciuto. “Forse tra dieci anni avremo capito come funziona quello del topo”. Quanto all’IA ha saggiamente ricordato che anch’essa come tutti i prodotti dell’uomo presenta gli stessi vantaggi, limiti e rischi di ogni creazione umana. Davvero da ascoltare! Ma intanto la suggestione che sostituendo un gene o una molecola si possano fare miracoli è stata introdotta.
Questo di fatto il messaggio suggestivo sottotraccia del Festival: l’uomo può essere considerato come una macchina e ogni suo comportamento è determinato dalla macchina cervello. Conoscendo ogni singolo gene e ogni singola molecola saremo in grado di farlo funzionare: corpo e mente. Ognuno dei 130 ospiti ha esposto il proprio prodotto intellettuale, per la maggior parte di alto livello, amabilmente guidati da intervistatori che seguivano le loro scalette già preparate, ma senza la possibilità che essi si confrontassero tra loro, rendendo così visibili e comprensibili le inevitabili differenze di impostazione teorica e di approccio etico alla ricerca, differenze che sono alla base di un vero dibattito scientifico.
E qui si inserisce il colpo di genio della suggestione sottotraccia: Marco Cavallo, la famosa scultura azzurra costruita a Trieste dai pazienti dell’ospedale psichiatrico diretto da Franco Basaglia, giunto a Roma, per essere posizionato davanti all’Ara Pacis come simbolo del Festival della Salute 2023. All’epoca per farla uscire dall’ospedale psichiatrico Basaglia fece abbattere un pezzo del muro di cinta. Un atto collettivo dal potente significato metaforico. Era il 25 febbraio 1973 e dietro Marco Cavallo uscirono dal manicomio oltre seicento tra pazienti, infermieri, medici e famigliari dei degenti. Quell’atto simbolico era il frutto di un lungo lavoro, anche teorico, di ricerca, di confronto e di contatti nazionali e internazionali tra scienziati della psiche e del comportamento. Basaglia condusse con i suoi collaboratori una battaglia non solo per i diritti civili dei malati psichici, ma per una nuova comprensione della sofferenza psichica. Sacrificò la sua promettente carriera universitaria, non volendo aderire ai canoni scientifici dell’epoca di una psichiatria sostanzialmente organicista, viva e vegeta ancora oggi. Sradicato dal contesto, usato come “ragazza copertina”, Marco Cavallo viene così usato per far pensare che il Festival GEDI sia orientato in quello stesso approccio scientifico ed etico alla concezione dell’uomo. Ma analizzando gli interventi dedicati all’argomento si scopre che i timori, che Basaglia stesso aveva palesato poco prima di morire a legge 180 appena approvata, erano e restano fondati. Questo il tema spinoso: secondo quale paradigma scientifico si intende affrontare il tema della salute in generale e della salute mentale in particolare?
Puntando prevalentemente sul tema del disagio psicologico dei giovani (ovvio i cittadini-consumatori di domani) è stata fatta una spettacolare operazione di orientamento percettivo. Prima creando un contesto simil-basagliano si è data voce agli studenti delle superiori, ai rappresentanti universitari, a performer, rapper, comici, figli d’arte e poi, certo anche a qualche esperto di psicologia. Tra questi personaggi troviamo coloro che hanno preferito qualificarsi anziché psicologi (scienziati del comportamento) come neuroscienziati (studiosi del cervello). Così apprendiamo dal professor Stephen M. Fleming (non a caso esponente della scuola razionalista inglese attualmente eletta anche in Italia a guida scientifica in materia) che ora esiste la nuova disciplina scientifica delle metacognizione. Disciplina che si occupa di correggere gli errori causati dalle emozioni fuori controllo, a causa di una macchina-cervello non del tutto evoluta o funzionante. Egli studia (in contesti controllati) come diventare consapevoli di sé. Colpisce che il titolo del suo innovativo approccio (e del suo libro pubblicizzato con l’occasione) sia “Conosci te stesso”, uno degli aforismi socratici più antichi. Anche la dottoressa Laura Ferreri preferisce presentarsi con quel rassicurante e ormai d’obbligo titolo di neuroscienziata, per illustrare con quali parti del cervello rispondiamo a diversi brani e stili musicali. Sono certa che questo non modificherà il piacere dell’ascolto per chi sta bene, ma lo sono altrettanto che questo non ci aiuta a capire perché gli adolescenti mettono in atto comportamenti autolesivi fino al suicidio e il grande uso di sostanze psicotrope scelte liberamente o prescritte. Gli psicologi (preferisco questo termine meno suggestivo e fuorviante del più gettonato neuro-psicologi) hanno pensato come contrastare l’innegabile ondata di certificazioni di disturbi del neurosviluppo? Forse la teoria abbracciata non è corretta se, come sosteneva Albert Einstein, non è anche utile a risolvere il problema. Hanno pensato che posizione prendere verso le illusioni vendute ai genitori che si è trovato (“forse”) il gene che causa l’autismo, altro disturbo ormai diventato pop (come quello di ADHD) a causa di una pericolosa inflazione diagnostica?
Come si può arginare la facilità con cui vengono prescritti gli psicofarmaci a qualunque età? E qui ricompare la scia luminescente di Pfizer, uno dei produttori storici e prolifici anche di psicofarmaci.
Non basta affermare come Giuseppe Lavenia che non serve aumentare gli psicologi scolastici o di base se non si sa cosa faranno e come verranno formati. Appunto, ci penserà forse Pfizer? Matteo Lancini, presidente di Il Minotauro, ha provato a segnalare che ci sono teorie diverse nella scienza psicologica. Che stiamo tornando alla psicologia di fine ‘800. Evidentemente consapevole che ormai il nostro Ministero della Salute considera come unico approccio scientifico alla sofferenza psichica quello organicista in cui la psicologia ha la funzione di insegnare metodi di controllo dei disturbi, supportare l’uso di psicofarmaci o interventi di neuro-stimolazione cerebrale. La percepibile irritazione di Lancini, durante la breve intervista, evidenziava come in quel contesto, come nella vita accademica e clinica, il confronto scientifico sia stato bandito. Basta dire solo il pezzetto utile al contesto di vetrina. Persino la pubblicità comparativa è stata vietata.
Non basta certo Marco Cavallo e le memorie romantiche e nostalgiche di un’occasione mancata a contrastare la suggestione e l’illusione che la scienza saprà aggiustare la macchina cervello sostituendo i pezzetti supposti geneticamente guasti e a legittimare che tutto ciò che si spende per la ricerca genetica è ben speso anche se si dovrà, in nome della nuova scienza, diventare guerci o gravemente miopi. Una scienza che non includa sé stessa nelle variabili da controllare non solo è antiquata, ma dannosa.
Nonostante la presenza di Marco Cavallo, il cui compito era rassicurare che ci si orienta ad una visione esistenziale umana e rispettosa dell’essere umano, e la passione di Daniela Minerva il modello di psicologia e di mente trasmesso dal festival GEDI è stata quella tra le più classiche, ottocentesca, e meno basagliane. Ovvero quella lineare e rassicurante che essa coincida con il cervello. Con una materia misurabile, plasmabile, geneticamente determinata e solo così modificabile. Insomma almeno sessant’anni di ricerca sperimentale e clinica sono stati rottamati. Purtroppo anche grazie al format del festival che, evitando il dibattito scientifico tra esperti alla pari, senza i recinti posti da guide competenti nella conduzione, non autorizzava a promuovere il confronto nel merito.
Comunque condivido che di più scienza ci sia urgente bisogno. Scienza eticamente responsabile e libera dai condizionamenti economici con i quali inevitabilmente deve confrontarsi e ai quali i politici si adeguano. Perciò attingo a Guido Tonelli, fisico del CERN di Ginevra, uno degli scopritori del bosone di Higgs e perciò certamente dotato di patente di scienziato serio:
“La fisica del XX secolo archivia definitivamente ogni tentazione di realismo grossolano e di meccanicismo materialistico… la concezione di materia che utilizza è profondamente diversa rispetto a quella tradizionale, …dentro cui si aggirano forme materiali intrinsecamente persistenti, è demolita (p.173) …Il metodo scientifico non è in discussione (p.175) …Il metodo che ha dato risultati così eclatanti non si applica all’intero reale… Tanto è efficace nell’identificare i meccanismi che regolano i processi materiali misurabili e riproducibili, quanto balbetta, o risulta del tutto impotente, nell’affrontare i fenomeni privi di queste caratteristiche. E la nostra vita, per non parlare della comunità complessa degli umani, è caratterizzata proprio da questo tipo di fenomeni… una comunità umana di individui pensanti, liberi e interagenti fra loro non può essere trattato come un sistema fisico… L’illusine che i componenti ultimi della materia siano qualcosa di solido e persistente è stata messa seriamente in discussione dalla scienza contemporanea.” (p. 179) (Materia. La magnifica illusione, Feltrinelli, 2023).
Tra gli anni ’60 e gli anni ’90 del secolo scorso questa rivoluzione scientifica ha radicalmente modificato non solo la storia della fisica e di tutte le scienze della vita, ma anche la storia della psicologia, della psichiatria e della sofferenza mentale. Il lavoro di Basaglia, se non gli si vuol far torto, può essere compreso solo dentro quel movimento scientifico internazionale.
Forse, invece di un’oretta di educazione sanitaria, sarebbe più opportuno affiancare allo studio della storia dell’umanità (ma lo prevede il piano scuola 4.0?) quello del pensiero scientifico. Altrimenti si chiama scuola di ideologia. Certo si dovrebbe voler formare cittadini pensanti.
Magari anche qualche giornalista o intellettuale del Gruppo editoriale GEDI, che raggruppa le maggiori testate giornalistiche italiane, sarà incuriosito e potrà esercitare il: studio, dubito, penso, scelgo, mi assumo responsabilità, quindi sono.