- Come interrompere il circuito vizioso della polarizzazione che trasforma la comunicazione in duello.
- Si deve pensare come se si usasse un Cavallo di Troia.
- Dobbiamo accettare che il nostro scopo non è vincere o dimostrare che abbiamo ragione, ma seminare indizi che poi agiranno a discussione finita.
Di Miriam Gandolfi, psicologa e psicoterapeuta dei sistemi complessi - 19 febbraio 2022
Non so se sia ancora un riferimento condivisibile ricordare i films di Oliver Hardy (Ollio) e Stan Laurel (Stanlio), ormai classici e forse apprezzati solo dai cinefili. Forse abbiamo una memoria delle loro terribili, apparentemente incruente, sfide, in cui pur di tenersi testa l’un l’altro, procedono con impassibilità a distruggersi a turno: cappello, cravatta, colletto della giacca e via via tutto quanto sia a portata di mano. La trovata grandiosa di quelle scene non sta tanto nella mimica scandita ed eloquente dei due attori e nella capacità di trovare ogni piccolo dettaglio per infliggere un colpo all’altro, ma nel fatto che mentre loro si dedicano con grande impegno a quella “discussione”, il mondo intorno crolla: una casa che hanno costruito insieme, un interno appena arredato, una cisterna d’acqua faticosamente sistemata.
Queste immagini sono l’esatta rappresentazione di una capacità del tutto umana di combinare catastrofi ed ha un nome tecnico: processo di polarizzazione. Lo si trova rappresentato in tutti i films sulla guerra fredda ed è alla ribalta proprio in questi giorni a causa dei nuovi venti di guerra tra Russia e Stati Uniti.
Il processo di polarizzazione è una specialità tutta umana, che ognuno di noi ha sicuramente sperimentato: più si vuol far mangiare un bebè più sputa la pappa; più si insiste per far fare per tempo i compiti ad un figlio, più si ridurrà a farli la sera prima di andare a letto obbligando il genitore ad aiutarlo; più si promettono punizioni tremende per un rientro tardivo di un adolescente più il ritardo aumenta. Più si minaccia il partner che “questa è l’ultima volta che…” più la cosa si ripete e il tempo che passa si trasforma in anni.
Una specialità del tutto umana
Questo comportamento di polarizzazione del processo di comunicazione è la conseguenza del fatto che solo gli umani comunicano contemporaneamente attraverso due canali: quello verbale e quello non verbale: il tono e il volume della voce, l’espressione del viso, i gesti e la postura di tutto il corpo. Il pasticcio nasce quando i due canali vanno per così dire in corto circuito. Esempi classici sono: “Ti amo così tanto che è meglio se ti lascio”. O peggio “Se sono geloso/a fino a picchiarti è la dimostrazione di quanto ti amo”. O come nelle vignette umoristiche sulla vita di coppia dove la moglie si lamenta che il marito la trascuri e lui la rassicura del contrario mentre legge la Gazzetta dello Sport.
Gli animali non hanno questo problema appunto perché, non disponendo di linguaggio verbale, devono essere molto chiari sia nell’esprimere che nel sapere decodificare il linguaggio non verbale. Se un cane da guardia vi ringhia sapete che quel segnale/comunicazione non può essere ignorato; non potete insistere ad avanzare, anzi è buona norma ritirarsi lentamente senza sfidare l’animale guardandolo negli occhi.
Anche questo comportamento ha un nome tecnico: abbandonare il campo.
Interrompere uno scambio comunicativo che potrebbe, se andasse in escalation, diventare mortale. Questo è il mezzo con cui in natura gli animali si proteggono da pericolosi attacchi inutili. In natura si uccide solo per nutrirsi, per sopravvivenza. Per tutto il resto: difesa del territorio, del partner o di cuccioli, si privilegia la fuga strategica. Ma per gli umani questo equivale a: “essere deboli”, o meglio, non essere abbastanza forti, non essere riusciti a sottomettere l’altro.
Sì, questa è una “malattia” tutta umana: l’esercizio del potere fine a sé stesso, perché non prevede la valutazione del prezzo umano che verrà pagato. Per tornare a Stanlio e Ollio meglio lasciar crollare una casa che rinunciare alla prossima provocazione. Alla fine non si sa nemmeno più di cosa si discute, l’unica cosa che conta è avere l’ultima parola, sottomettere l’altro, non importa cosa abbia da dire.
Ora abbiamo gli elementi per comprendere cosa succede e come guardare i teatrini dei numerosi talk show, in cui giornalisti di professione allestiscono finti scambi di finte informazioni sulla scienza, sulla salute, usando parole imprecise e svuotate di significato, interrompendo ogni discorso prima che raggiunga un senso compiuto.
Infatti non è il senso che interessa, il contenuto, ma solo l’atto di sottomissione. Il vero scopo di queste esibizioni è quello di dimostrare che si riuscirà a piegare, a dominare l’interlocutore. Ciò che si dice, il contenuto, non è più rilevante, lo scopo è far sentire l’interlocutore sbagliato, stupido, sconfitto. Anche questo comportamento ha un termine tecnico: definizione della relazione. Cioè serve solo a comunicare “chi sei tu per me”. Qualunque sia l’argomento di cui si discute esso viene usato per veicolare implicitamente un altro messaggio: non conta ciò che dice, lo scopo è che il destinatario del messaggio diventi oggetto di disprezzo a prescindere, e più lui si difende più verrà ridicolizzato, fatto apparire incapace e stupido.
Mentre con la comunicazione verbale si finge di parlare di scienza, di salute, di scuola, di giustizia, di statistica, di qualunque cosa, lo scopo della conversazione è definire l’interlocutore come non degno di essere ascoltato. A quel punto la discussione sarà solo un susseguirsi di colpi per fingere di dimostrare chi ha torto o ragione, chi dice il vero o il falso, ma il cui scopo è appunto solo “definire la relazione”. Perciò ogni tentativo di difesa stimolerà un nuovo attacco.
Si può rompere il circuito mortale?
Quando il processo di polarizzazione è avviato, cioè quando si rimane entro il criterio vero/falso, chi ha torto o ragione, si ottiene solo di aumentarla, come un cappio che si stringe intorno al collo di chi si dibatte per liberarsi. Cercare di spiegare il contenuto delle proprie ragioni diventa a quel punto impossibile. Per sfuggire da questo circolo vizioso si deve ricordare che il nostro interlocutore non ha lo scopo di ascoltare le nostre ragioni, informazioni o ragionamenti. Per il suo scopo non ha bisogno di portare argomentazioni e informazioni precise da confrontare con le nostre, gli bastano informazioni approssimative, non documentate e un linguaggio generico purché sia ad effetto.
Se ci troviamo in una situazione del genere non dobbiamo cercare di insistere sulle sue incongruenze. Dobbiamo pensare come chi esercita le arti marziali: non contrapporre forza alla forza (polarizzarsi), ma usare la forza dell’avversario per sbilanciarlo. Invece di ribattere con forza, “scansarsi”, fare della debolezza apparente il nostro scudo.
Ecco le regole per perturbare il circuito vizioso della polarizzazione:
1- regola generale prima di ogni scambio: non iniziare mai dai contenuti cercando di convincere l'interlocutore, non contraddirlo, non voler dimostrare le sue incongruenze, ma interagire solo ponendo domande come se ci considerassimo davvero stupidi o ignoranti, come lui vuole dimostrare. Questa regola sposta l'attenzione della conversazione dal contenuto (che abbiamo visto non è rilevante) alla definizione della relazione (chi sei tu per me): “se vuoi dimostrarmi che sei più forte di me e che io sono più stupido, decido di accettarlo”; così si sbilancia la relazione di attacco.
2- a quel punto posso riportare il mio interlocutore al contenuto ponendo delle domande (“visto che tu sei l’esperto e io l’ignorante ti chiedo le informazioni di merito”)
tipi di domande:
- Tu sei vaccinato o anche immunizzato? Conosci la differenza?
- Sai come si fa a sapere se sei davvero immunizzato?
- Perché non si fanno gli esami per saperlo, come diceva anche il prof. Galli che è un grande sostenitore dei vaccini?
- Ci siamo ammalati in tanti, tu sai quanti sono guariti? Come mai è l'unico dato che non abbiamo?
- Sai quanti soldi potremmo risparmiare vaccinando solo chi non è immunizzato?
- Lo sai che contagiato (cioè portatore del virus) non vuol dire ammalto, cioè non infetta gli altri?
- Quando hai fatto l'ultima vaccinazione per il tetano o l'epatite? Sai ogni quanto si devono fare i richiami? Come mai adesso si deve ripetere il richiamo ogni 3/4 mesi? Allora è un vaccino o è una medicina?
- Se sono vaccini che immunizzano, perché dopo le inoculazioni ci si ammala comunque?
- Sai che questi chiamati vaccini sono diversi da tutti quelli che abbiamo fatto fino ad ora, perché agiscono a livello di processi cellulari che ancora non conosciamo?
- lo sai che si fondano su processi molto innovativi perché non inoculano il virus, stimolando la risposta immunitaria, ma sono farmaci che dovrebbero curare preventivamente se ci si ammala.
- Questi sieri sperimentali non pensi che possano interferire nel lungo tempo con lo sviluppo dei bambini?
- Sai cos'è la talidomide e cosa è successo (è il farmaco che ha causato la focomelia, sono passati tre anni prima che venisse ritirato e solo da pochi è stato riconosciuto il gravissimo danno causato)
- Perché Crisanti, che è vaccinista, ha detto più volte che i no-wax, sono solo una foglia di fico? Cosa copre la foglia di fico?
- Sei sicuro che i medici che criticano i vaccini siano no-wax, cioè contro tutti i vaccini?
- Parlano di TSO, trattamento sanitario obbligatorio, sai cos'è? è la legge che serve per internare in reparto psichiatrico i "matti ", perché non sono in grado di intendere e di volere (nr.833/1978); pensi che chi non è d'accordo con la tua idea anche se vive e si mantiene normalmente sia matto?
- Se un genitore non vuole vaccinare il bambino tu pensi sia giusto che gli venga limitata/tolta la potestà genitoriale?
- Lo sai che succede già se un genitore è contrario agli psicofarmaci per i bambini anche piccoli? (già dai 5/6 anni).
- Sai chi è Maria Rita Gismondo? È responsabile di Microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze all’Ospedale Sacco di Milano. Quindi non una no-wax ideologica. Oltre ad aver sconsigliato l’inoculazione per i bambini ha pubblicamente affermato che continuare a stimolare il sistema immunitari con frequenti inoculazioni lo indebolisce anziché rafforzarlo. Come mai non le viene data retta?
3- lo scopo del fare domande non è ricevere risposte o ingaggiare discussioni. Cioè battaglie su chi ha torto o ragione, su vaccino sì/vaccino no, chi è stupido o intelligente. Lo scopo è non cadere nella trappola di Stanlio e Ollio. Non trasformare un dibattito scientifico in una sfida da bulli.
Porre domande non sempre ha solo lo scopo di volere risposte.
È il metodo con cui si introduce una informazione in modo inatteso per il nostro interlocutore. Dovendo cercare una risposta si sposta l’attenzione dalla contrapposizione (il chi sei tu per me) e si introduce un dubbio, si infila qualcosa di inatteso. È l’inatteso, una sorta di sbilanciamento psichico, che può perturbare le convinzioni monolitiche decise a priori da chi ci parla.
Si deve pensare come se si usasse un cavallo di Troia. Meglio non accettare la discussione piuttosto che ingaggiarla, e continuare a fare le domande.
Dobbiamo accettare che il nostro scopo non è vincere o dimostrare che abbiamo ragione, ma seminare indizi che poi agiranno a discussione finita.