La psicologia si occupa da tempo di studiare gli effetti delle pressioni esercitate da gruppi di maggioranza, sui singoli individui, anche quando le opinioni o i comportamenti proposti siano in contrasto con la realtà documentabile. Si sa che se chi esercita potere, di qualsiasi natura, usa forme violente o molto coercitive ciò può indurre comportamenti di sottomissione ma non cambiamenti nelle opinioni e convinzioni di singoli o di gruppi. Per questo lo studio di forme di convinzione, manipolazione, seduzione “dolce” del pensiero sono diventate oggetto della psicologia che studia i cambiamenti e le suggestioni comportamentali.
Gli spot pubblicitari e le campagne elettorali si nutrono di queste acquisizioni.
Non è dunque casuale che i primi esperimenti, controllati dal punto di vista scientifico, oggi considerati dei classici, risalgano alla seconda metà degli anni ’50: si inventa la televisione e l’umanità si trovava in piena guerra fredda.
Quegli studi pionieristici si sono confermati fondamentali e meritano di essere conosciuti. Preciso che il termine “vittime” usato di seguito non ha alcun significato morale o difensivo. Si riferisce esclusivamente al fatto che i soggetti erano in una condizione passiva, tenuta a loro volontariamente nascosta dagli sperimentatori.
Il primo esperimento (S. Asch.1956) si riferisce a coloro che sono “vittime” inconsapevoli di una manipolazione della realtà. L’esperimento consisteva nel formare gruppi di persone (il numero variava da un minimo di due fino a gruppi di dieci o più) che dovevano confrontare il disegno di un segmento con altri tre e stabilire con quali di essi fosse lungo uguale. Uno era più lungo, uno più corto, uno uguale al modello. Le differenze erano evidenti e non ambigue.
Tutti i membri di ciascun gruppo, tranne uno, la “vittima”, erano stati istruiti a fornire concordemente una risposta sbagliata alla maggior parte delle prove. In questo modo la persona oggetto dell’esperimento, veniva contrapposta ad una maggioranza concorde, per vedere se avesse dubitato o meno del proprio giudizio, benché di fronte ad un fatto oggettivo. Molti riuscirono a resistere ma un numero consistente cedette alla pressione del gruppo addestrato a mentire dagli sperimentatori.
Quali le condizioni che generavano il cedimento? 1) La consistenza del gruppo degli oppositori. Un soggetto confrontato con tre oppositori cedeva già, con una frequenza simile a coloro che erano contrapposti a gruppi più consistenti. Era già attiva la forza della maggioranza. L’adesione avveniva a volte rapidamente a volte dopo una resistenza tenace. 2) Per comprendere il perché delle differenze individuali e i motivi sottostanti, la “vittima” veniva successivamente informata dell’inganno e richiesta dei motivi del cedimento. Emerse che alcuni lo facevano per evitare l’esclusione dal gruppo (fenomeno noto e fondamentale nella relazione bambino/adulto e nella relazione adolescenti/gruppo dei pari). Ma vi furono molti soggetti disposti a credere che loro stessi fossero carenti o “sbagliati”, con difetti della vista o non in grado (abbastanza competenti) di cogliere un’illusione ottica. Nei casi in cui il soggetto era disposto a pensare che il fragile, l’ignorante o lo sbagliato fosse lui, egli si adeguava velocemente e senza sforzo. In sostanza si affidava delegando a supposti esperti il giudizio. (Questo risultato obbliga a riflettere sui sistemi scolastici ed educativi in generale e sui mezzi di informazione specie scientifica).
A questo punto gli psicologi furono incuriositi dal comprendere meglio le motivazioni non delle “vittime” inconsapevoli, ma di chi stava dall’altra parte del gruppo sperimentale: coloro che erano stati ingaggiati come collaboranti nell’esperimento di compliance forzata. (L. Festinger e J.M. Carlsmith 1959). L’esperimento consisteva nel pagare dei soggetti per convincere le “vittime” sulla bontà e interesse dell’esperimento a cui partecipare insieme a loro. In sostanza uno spot pubblicitario dove non si vendeva un prodotto ma la propria partecipazione cognitiva. I risultati sui cambiamenti mentali nei soggetti reclutati a pagamento come sponsorizzatori sono particolarmente interessanti. Infatti molti di loro, progressivamente modificarono la propria posizione autoconvincendosi di ciò che andavano propagandando alle “vittime” ignare. Ma la cosa interessante fu che coloro che venivano pagati con somme consistenti, mantenevano la loro opinione iniziale (continuavano a sapere di imbrogliare). Coloro che erano stati ingaggiati per un piccolo compenso, aderivano fino ad autoconvincersi e dimenticare le condizioni dell’ingaggio all’esperimento. Conclusione: piuttosto di pensare che si mente per una piccola somma, si preferisce cambiare opinione ed autoconvincersi. Anche altri esperimenti confermarono questa spiegazione. Festinger definì come riduzione della dissonanza cognitiva il processo che cerca di armonizzare il contrasto tra le informazioni oggettive, la percezione/giudizio di sé stessi e il comportamento attuato.
Questo ci spiega perché responsabili commerciali della Pfizer possono dichiarare con tranquillità in audizione al Parlamento europeo che sapevano di mentire nel pubblicizzare le caratteristiche del farmaco impropriamente chiamato vaccino. O che il Prof. Roberto Bernabei, membro del CTS, possa dichiarare su RAI 2, con il sorriso sulle labbra, che mentivano quando sostenevano che il siero era sicuro e sperimentato, mentre agivano alla cieca. Potremmo aggiungere il dottor Silvestro Scotti, segretario nazionale della Federazione dei medici di medicina generale. Che finge di non conoscere la differenza tra vaccini e il profarmaco genico sperimentale per insistere sulla liceità di una manovra coercitiva di sottomissione verso il personale sanitario.
La lista potrebbe essere lunga ma il vero problema sono gli altri, la maggioranza: giornalisti, opinionisti, cantanti, attori, ballerine, ecc. che assimilano coloro che non si sono adeguati alle pressioni, agli evasori fiscali. Ecco perché anche giornalisti quotati, per difendersi dal gap creato dalla dissonanza cognitiva, organizzano talk show e dibattiti su questioni sanitarie senza invitare medici e ricercatori veri o, se lo fanno solo, quelli che già sono in accordo con la linea editoriale.
E poi i vicini di casa e i frequentatori di supermercati o musei, insomma le persone comuni, che guardano “i senza mascherina” con gli occhi armati di lame rotanti alla Mazinga Z.
Tutti questi si sono auto-reclutati nell’esercito di coloro, che non sono stati pagati. O almeno non lo sapevano, perché non si aspettavano che il loro salario invece che un diritto fosse il modo con cui comprare “dolcemente” la loro autonomia di giudizio. Ridurre la dissonanza cognitiva è un mezzo di autodifesa: ammettere che si è stati manipolati, soprattutto per chi della libertà e autonomia di pensiero fa una bandiera della propria identità, può essere un colpo insostenibile.
Il negazionismo, non ha a che fare tanto con la terra piatta, le stragi naziste o altre più dimenticate, con la cinquantina di guerre oggi sparse per il mondo. Ha a che fare con la paura di dire a sé stessi la verità, di lasciar filtrare il dubbio di essersi lasciati imbrogliare da chi non se lo aspettavano. Ciò è vissuto come un vero e proprio tradimento. Un grande psichiatra e psicologo Vittorio Guidano ha coniato il termine autoinganno. Cioè un processo che riduce la delusione o il dolore psicologico, ma insieme anche la capacità di autocura. Come i soggetti dell’esperimento di Asch che si convincevano di avere davvero dei limiti, piuttosto che pensare che dei professori universitari li stessero imbrogliando. Ora però invece che di fronte ad una psicopatologia individuale siamo di fronte ad una psicopatologia collettiva, della maggioranza.
Curarla sarà dura e responsabilità di ognuno.