Il 24 novembre, a Monaco di Baviera, si è spento Hans Magnus Enzensberger. Quasi tutti i quotidiani lo ricordano principalmente come poeta e scrittore. Alcuni gli riconoscono “anche giornalista”. Il Manifesto in un articolo del 26 novembre lo presenta così: “scomparso all’età di 93 anni, è stato la voce più originale e più autonoma da mode, correnti culturali, affiliazioni politiche, scuole e tradizioni nella Germania del dopoguerra. Eppure in un rapporto costante, discreto ma non timido, con la società tedesca, le sue contraddizioni e i suoi conflitti. Ironico, scanzonato ma ben consapevole di ciò che è grave e minaccioso. Di questa ritrosia militante e per nulla incline a compromessi, Hans Magnus Enzensberger ha quasi fatto un metodo, una pedagogia culturale, a volte fastidiosa, ma sempre incisiva.”
Il suo è stato un pensiero potente e uno sguardo sconfinato. Si fatica a capire di quale disciplina, inclusa la psicologia, o tema sociale e politico egli non sia occupato. Sempre con precisione, mai spacciando opinioni personali senza documentarsi. Sempre con uno sguardo ampio sul mondo. Da attento indagatore delle bizzarrie umane egli non poteva non confortarsi con il problema della distruttività umana. Egli definì il concetto di innato istinto di morte di Freud “empirico e traballante”, proponendo invece una lettura assai più articolata.
Partendo dalla constatazione dell’insopprimibile desiderio di riconoscimento e di appartenenza di ogni essere umano, in assenza di essi la persona sceglie, come mezzo per esistere, l’autodistruzione fino alla distruzione totale anche di chi ama, pur di essere incluso in un destino comune. Formula il concetto di perdente radicale.
Il perdente radicale sente di esistere in quanto arbitro di vita e di morte.
Dopo otto mesi di guerra nel cuore d’Europa, in cui si paventa addirittura una terza guerra mondiale atomica e contiamo almeno 35 conflitti (solo gli ufficiali) sparsi sul pianeta è impossibile non riflettere sull’unico comportamento, linguaggio a parte, che differenzia l’essere umano dagli altri viventi: la sua auto distruttività. Argomento a cui i politici, soprattutto occidentali sembrano ciechi e sordi.
Così Enzensberger: “accanto a molti altri esempi storici, occorre ricordare il progetto nazionalsocialista in Germania. Alla fine della repubblica di Weimar vasti strati della popolazione si sentivano perdenti…tuttavia la crisi economica e la disoccupazione non sarebbero bastate per portare al potere Hitler. Occorreva una propaganda mirata al fattore soggettivo: il rancore narcisistico suscitato dalla sconfitta del 1918 e dal trattato di Versailles. La maggior parte dei tedeschi cercava la colpa presso gli altri… La bruciante sensazione di essere perdenti poteva essere compensata solo dalla fuga in avanti nella megalomania.…Quindi i loro obbiettivi erano sconfinati non negoziabili; in questo senso erano non solo irreali, ma impolitici. Nessuna considerazione degli assetti mondiali era in grado di convincere Hitler e i suoi seguaci che la guerra di un piccolo paese mitteleuropeo contro il resto del mondo era destinata al fallimento. Al contrario il perdente radicale non conosce la risoluzione del conflitto, il compromesso, in grado di coinvolgerlo in un normale intreccio di interessi e di disinnescare la sua energia distruttiva. Quanto più assurdo il suo progetto, tanto più fantasticamente lo persegue.”
Enzensberger non parla di Hitler, come causa responsabile della devastazione totale, ma come uno degli esempi del processo che spiega la potenziale spirale di comportamento distruttivo di ognuno di noi. Del fidanzato ventenne che tenta di uccidere la fidanzata e poi si suicida, dello studente che entra a scuola e spara all’impazzata sapendo che verrà abbattuto, o del presunto terrorista che accoltella i passanti fino a cadere sotto i colpi dei poliziotti. E quanti altri esempi ci porta sempre più spesso la cronaca quotidiana: Utoya, Parigi, Berlino e quante città italiane. Ci consoliamo dicendo: “erano solo pazzi”. Spiegazione che abbiamo usato abbondantemente anche nella guerra che brucia alle porte di casa nostra per rifiutare di riconoscere il processo a cui tutti collaboriamo.
Il processo che vede la fame di riconoscimento e la delusione per il mancato senso di vittoria e auto affermazione che è la molla della distruzione totale fino all’autodistruzione. Quasi tutti i quotidiani hanno dipinto Enzensberger soprattutto come poeta e letterato, forse perché tra i primi a svelare i paradossi velenosi della UE e a mettere in guardia verso la decadenza politica e culturale dell’Occidente. Appunto cose di cui non sta bene parlare. Mi auguro che ci sia qualche politico del pianeta che conosca il suo Saggio di sole 73 pagine formato tascabile: Il perdente radicale, scritto già nel 2006.